In un luogo di culto lo spazio sacro è universalmente riconosciuto; ma come possiamo noi creare uno spazio equivalente per un funerale laico?
L’agenzia funebre Funet da tempo ha avuto l’intuizione che il luogo dove si celebra un funerale laico è fondamentale. E, di conseguenza, si è dotata a questo scopo di tre location suggestive.
Recentemente, sono stata chiamata a collaborare con Funet e, insieme, siamo riusciti a creare un ambiente ricco di significato, un focus che esprimesse a pieno il senso del rituale che si stava celebrando.
Si è trattato di un giardino con una vista mozzafiato, in una mattinata primaverile di aprile, sul Lago di Albano, presso Relais il Lago.
L’allestimento è stato estremamente curato: sedie di vimini in semicerchio, distanziamenti come da regolamento, in modo tale che stando all'aperto la famiglia ha potuto ospitare tutte le persone che desiderava.
Il feretro è stato posizionato al centro e durante la cerimonia, con cui si metteva in primo piano la vita della persona, lo sguardo dei famigliari e di tutti gli invitati abbracciava il defunto, il lago, e - dall’altra parte - Castel Gandolfo, che si stagliava contro l’orizzonte riflettendosi nello specchio d’acqua. I “testimoni” della vita della persona che si stava celebrando, cittadina di quel luogo, erano così “davanti a casa”.
Il bisogno di rituale è un bisogno innato. Ne abbiamo bisogno per disporre di un linguaggio che ci connetta con i nostri pensieri e sentimenti più profondi, con le nostre speranze e le nostre paure. Ne abbiamo bisogno per fissare dei punti fermi e segnare, sulla mappa della nostra vita, da dove veniamo e dove stiamo andando. Ne abbiamo bisogno per immergerci in qualcosa di “speciale” che sia diverso dal quotidiano o dall’ordinario.
In un mondo sempre più veloce e disorientato, il rituale ne è come la punteggiatura. Ci permette una pausa. Ci dice: “Alt! Fermati per un momento. Respira. Questo è un momento veramente importante.”
Creare una cerimonia funebre laica significa proprio questo: dare, a chi ha perso una persona amata, il tempo, un momento, una pausa, per riflettere e condividere con la propria comunità, con famiglia e amici convocati a “testimoniare”.
Al centro c’è la persona scomparsa, la sua vita, la sua umanità, la sua unicità, le sue peculiarità; attorno ci sono i testimoni di una vita.
Proprio perché la cerimonia mette al centro il defunto, e proprio perché chiama la comunità a testimoniare, diventa allora significante il luogo dove avviene questo “momento speciale”.
Ecco le parole della figlia:
L’ultimo abbraccio
Mio padre e’ morto di covid-19. Una morte completamente inaspettata, dopo una progressione della malattia tanto rapida da non lasciare tempo e spazio al cuore e alla mente di comprendere cio’ che stava accadendo. Non ho potuto vederlo durante la malattia, alla fine della sua vita e neanche da morto. Un lutto dai connotati disumani, una elaborazione della perdita tutta da inventare. La cerimonia officiata da Clarissa e’ stata in grado di alleviare il dolore scioccante e il senso di smarrimento che tutti sentivamo attraverso una rievocazione semplicemente calzante della vita del mio papa’, che tutti gli amici e familiari hanno riconosciuto come ‘lui’. Grazie Clarissa, ho pianto tanto e tanto ancora piangero’, ma grazie al rito che hai officiato ho sentito di potere salutare il mio papa’ verso il suo ultimo viaggio, come se lui fosse li’, in quel momento, con noi.
Si ringraziano E. Dissanayake (1992) per l’idea del rituale come per la creazione di momenti “speciali”, e il celebrante umanista T. de Haan (2015) per l’idea del rituale come punteggiatura della vita.